È ormai chiaro come Quentin Tarantino manipoli la storia per poi trasformarla in una sorta di corpo umano energico e fervido, attribuendo alla macchina da presa (e più specificamente al rapporto luce/materia) il doveroso compito di ripercorrerla attuandone sia una commutazione che una ristrutturazione.
Abbiamo visto Adolf Hitler essere trucidato e bruciato all'interno di un cinema parigino, uno schiavo di nome Django liberare la propria amata eliminando in successione tutti i negrieri che gli si paravano dinanzi, e vediamo, attraverso quest'ideologia di riscatto, un vettore che ci trascina verso una meta. In questa esegesi cercheremo di comprendere i motivi per i quali The Hateful Eight pone il cinema di Quentin Tarantino in una fase di stallo; il film infatti si distacca dal percorso "ucronistico" avviato nel 2009, modificandone dinamiche e struttura, e configurandosi forse come l'opera più importante del suo ultimo periodo.
COME LA MACCHINA-CINEMA PUÒ CAMBIARE LA STORIA
The Hateful Eight è il terzo film consecutivo in cui Quentin Tarantino sfrutta il suo corredo citazionistico e autocitazionistico, insieme a dialoghi pungenti e aperta violenza, per costruire un'opera a tema storico.
Kill Bill Vol.1 e 2 (Tarantino, 2003), Bastardi senza gloria (Tarantino, 2007), Django Unchained (Tarantino, 2012)
Bastardi senza gloria capovolge la storia della seconda guerra mondiale per mano di una giovane ebrea e di un nucleo di soldati ebrei americani; Django Unchained è il paradossale romanzo di formazione in cui uno schiavo liberato diventa "la pistola più veloce del sud".
Questi due film, a livello narratologico e di influenza di genere, contengono grandi differenze, ma condividono con l'antecedente Kill Bill l'impianto tipico dei rape and revenge movies.
Nel suo fondamentale Morfologia della fiaba, il linguista russo Vladimir Propp suddivide lo schema della favola in : equilibrio iniziale, rottura dell’equilibrio, peripezie dell’eroe, ristabilimento dell’equilibrio.
I sopraccitati rape and revenge movie si rifanno in maniera determinante a questa struttura, infatti, analizzando più a fondo Kill Bill, Bastardi senza gloria e Django Unchained possiamo riscontrare un primo atto, nel quale avviene un'offesa estrema, un secondo atto nel quale il personaggio sopravvissuto intraprende un tragitto di ripristino, e infine un terzo atto in cui il personaggio ottiene la sua vendetta e uccide i suoi aguzzini.
Per comprendere l'efficacissimo lavoro metanarrativo compiuto in Django Unchained, basta osservare la scena nella quale il dottor King Schultz racconta a Django la leggendaria storia dell'eroe Sigfrido e della principessa Broomhilda , modificandone pero' la struttura e facendola combaciare con quella del film, che difatto è una fiaba nella quale l'eroe Django deve salvare la sua principessa.
Tuttavia, se Kill Bill rientra nella categoria del rape and revenge classico (la donna come oggetto di abuso e la sua successiva vendetta), le altre due pellicole portano la vendetta ad abbattersi sui consumatori dei mali radicali della storia dell’uomo: l’Olocausto e lo schiavismo della società americana precedente alla guerra civile.
La vendetta diventa così simbolica: la vittima acquisisce lo stile del carnefice e sottrae la vita a coloro che hanno perpetrato il male.
La struttura del revenge movie fissa un altro tipo di coscienza all'impiego della storia nei film di Tarantino, distendendosi nello scavo della letteratura e del cinema ucronistico.
COLLASSO DELLA STRUTTURA CLASSICA : DECOSTRUZIONE E RILETTURA DEL GENERE WESTERN
In The Hateful Eight, l'impiego di tale materiale storico elabora una funzione differente, la struttura rape and revenge non è infatti riscontrabile. Qui, l'accadimento storico si accolla la forma di una mimetizzazione del presente nell'impresa stessa del suo mimetizzarsi, del suo nascondersi: l'attinenza alla contemporaneità si accentua quanto più si duplica l'attività di occultamento a livello di figure, intreccio e relazioni tra i personaggi.
La caratteristica principale del film risiede soprattutto nella ciclica (e volontaria) indecifrabilità che si edifica a partire dall'intrusione peculiarmente tarantiniana tra la poetica filmica e l'elaborazione concettuale (come il film parla di sé e ciò che dice allo spettatore); e che viene rinvigorita dalla nuova e inestinguibile divergenza tra l'atto di mascherare le intenzioni dell'opera e il suo vero obiettivo: Tarantino lavora per depredare metodicamente i segni di orientamento che lo spettatore crede siano stati stabiliti.
L'overture del film
In The Hateful Eight la neve sostituisce le sterminate pianure e la Monument Valley fordiana, il movimento si fa impacciato e lento, in netto contrasto con lo spirito di celebrazione della frontiera americana, del moto costante per la conquista dell’ovest, della nascita di una nazione tradizionalmente veicolata dagli esponenti del genere. L’immagine movimento tipica del western classico viene messa in crisi.
Sentieri selvaggi (John Ford, 1956)
The Hateful Eight (Quentin Tarantino, 2015)
Un parallelo appropriato potrebbe essere quello con Il grande silenzio, di Sergio Corbucci (1968), la cui influenza su Tarantino è evidente fin da Django Unchained.
Proprio come l'opera di Corbucci, anche quella di Tarantino sembra porsi sulla scia del western revisionista.
Alcune scene di The Hateful Eight sono similari a quelle presenti nell'opera di Corbucci.
Tuttavia, questi evidenti richiami entrano a far parte di un discorso ben più ampio : il regista "ruba" da un film per comporre un puzzle concettualmente differente.
Andando più a fondo nell'analisi del film, possiamo notare che più della metà si svolge all'interno dell'emporio di Minnie. Tale scelta narrativa ci porta a fare delle considerazioni sullo statuto delle immagini: all'esterno della locanda non vi sono spazi da conquistare o terre da civilizzare, ma una vuota coltre di neve che promette morte certa.
Tarantino si diverte a mettere in crisi lo statuto dell'immagine.
Nella scena in cui Warren parla con Bob il messicano, prima notiamo un doppio mezzo primo piano dei due, poi, dopo uno scavalcamento di campo, ci troviamo d'innanzi ad un campo medio in controluce.
La regola classica dei 180 gradi viene infranta per portare avanti il discorso di decostruzione del genere (e messa in crisi dell'immagine) senza che però si disorienti lo spettatore, separando lo spazio esterno da quello interno.
Di particolare rilevanza, inoltre, è certamente il formato scelto per il film: un 70mm ultrapanavision (utilizzato l'ultima volta nel 1966); grazie all'utilizzo di questa pellicola l'immagine si schiaccia in altezza e si allunga per abbracciare uno spazio più ampio ma costantemente delimitato (sia negli interni, dai muri della locanda, sia negli esterni, dalle montagne). L'immagine, allargandosi, include una maggiore quantità di spazio limitato e, per lo stesso motivo, rallenta il passaggio da una ripresa all'altra: il montaggio e i movimenti di macchina non sono frenetici come in altri film di Tarantino, il campo medio tipico del western classico (e quindi l'immagine movimento) cede il posto a una composizione che assomiglia al kammerspiel.
Tarantino non sceglie mai di raccogliere tutti i personaggi all'interno di una inquadratura, ma lascia che sia la macchina da presa ad inserirceli lentamente, tenendo alta l'attenzione dello spettatore
LA MESSA IN CONGEDO DEL GENERE : L’INAZIONE COME MECCANISMO CORTOCIRCUITANTE
In The Hateful Eight una tempesta di neve paralizza in un luogo chiuso un manipolo di personaggi, la cui convivenza sembra essere impossibile perché aleggia la certezza che qualcuno non è chi sembra. La trama rimanda a La cosa, di John Carpenter (1982).
La forza del film risiedeva principalmente nel senso di paranoia che si veniva a creare tra i membri del team di esplorazione una volta certi della presenza di una forma di vita aliena in grado di contaminare i corpi umani. Tarantino estrae questo meccanismo narrativo per trapiantarlo in un contesto di richiami spazio-temporali che dovrebbero ammiccare al vecchio West e ai suoi eroi. In questo modo ne mette in crisi nascita e mito.
Il manifesto de La cosa, di John Carpenter (1982)
I primi eroi della frontiera erano cowboy, banditi o sceriffi, caratteri consapevoli delle proprie funzioni (vendetta, giustizia, conquista).
Nel caso di Hateful Eight questa prassi scompare, poiché i personaggi del film devono semplicemente aspettare che la bufera esterna passi, senza fare nulla, perché agire potrebbe significare incappare in conseguenze assai problematiche (si noti la composizione della scala sociale dei personaggi, che manda in cortocircuito la questione classica della giustizia e del reclamo di vendetta). Il ruolo dell’azione viene quindi ricoperto dal discorso, che si manifesta sempre sotto forma di menzogna imposta come verità.
Il fattore che mette in moto la morte di Samford Smithers viene costruito proprio a partire dall'utilizzo della parola.
Warren sfrutta la menzogna imposta come verità (il fatto di aver ucciso il figlio del generale) per spingere il suo "rivale" a compiere un gesto azzardato e poterlo quindi giustificatamente uccidere
In The Hateful Height, l'atto di cancellare l'epopea western (come iniziato in Django) subisce una spiritualizzazione, e la parola diviene retroscena dell'arma, metafora di una crescente camminata funebre che all'interno di quel non luogo (ripreso da Le Iene) si appresta a divenire carneficina, e aggirando l'unità del racconto retrocede (brevemente) all'indietro per poi ritornare al suo posto.
Tarantino, inizialmente, elabora la pellicola donandogli un esasperato carattere comico, per poi creare un kammerspiel all’Interno del quale far deflagrare la mattanza, si fa cinico arrangiatore di un insieme strutturato di movimenti ritmici e corpi legati tra di loro da un’atmosfera acherontea (grazie sopratutto all’encomiabile lavoro fatto sul montaggio interno e sui cambi di focale).
Tutto si riduce quindi a un ammasso di travi decadenti, a una porta rotta, a un camino scarno, ai pulviscoli di neve insinuatesi dalle fessure del fatiscente emporio, tutto si riduce all’uomo, aggressivo, debole, razzista, spietato, maligno.
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