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  • Gabriele Plutino

Oltre il velo della realtà : l'artificiosità visionaria dell'espressionismo tedesco

LA NASCITA DELL'ESPRESSIONISMO


Il movimento espressionista nelle arti si afferma alla fine del primo decennio del 900 con il gruppo di Die Brückle e all'inizio degli anni Dieci con la formazione di Der Blauer Reiter (Kandinskij, Marc, Macke) è già in rapida espansione.

Si tratta di un movimento nato sia come reazione alla crescente ansia e all'alienazione dell'era moderna, sia come risposta alle tensioni politiche e sociali dell'epoca, come l'industrializzazione, l'urbanizzazione e le turbolenze politiche in Europa.

In un momento di rapido cambiamento sociale e tecnologico, molti artisti hanno sentito il bisogno di esprimere le emozioni interiori e le esperienze soggettive piuttosto che seguire i dettami dell'arte tradizionale, che spesso si concentrava sulla rappresentazione accurata della realtà.

Così, al realismo e all'impressionismo ottocenteschi la scuola di Die Brückle contrappone un novecento violentemente espressionista e antinaturalista.

I dipinti di artisti come Ernst Ludwing Kirchner, Emil Nolde o Egon Schiele sono caratterizzati da colori estremamente enfatizzati, da una estrema spigolosità delle forme, quasi sempre legate da un'ironia sottile e dolorosa, a tratti anche macabra.


Cinque donne per strada (Ernst Ludwig Kirchner, 1913)


Nel dipinto "Cinque donne per strada" (1913) Ernst Ludwig Kirchner ritrae cinque donne in una strada cittadina, forse a Berlino, dove egli ha vissuto. L'opera riflette l'alienazione e l'anonimato della vita urbana moderna.

Come si nota, i colori utilizzati sono vivaci e innaturali, scelti non per rispecchiare la realtà ma per il loro potere espressivo.

Le figure delle donne sono allungate e distorte, sembra quasi che stiano vivendo in uno stato d'animo angosciato.

L'uso delle linee e la composizione suggeriscono un movimento e una vivacità che rispecchiano il ritmo frenetico della vita urbana.

L'immagine vive di una certa tensione e inquietudine, ottenuta tramite i volti inespressivi e la mancanza di interazione tra le figure, che riflette il senso di isolamento individuale nonostante la vicinanza fisica.

Tutte queste caratteristiche le ritroveremo anche nel cinema espressionista, con le dovute differenze di messa in scena a separare un film dall'altro.



IL CINEMA ESPRESSIONISTA


La sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale e le conseguenti difficoltà economiche del paese non ebbero un effetto negativo sull'industria del cinema tedesco.

Il divieto alle importazioni in vigore durante il conflitto aveva rafforzato il mercato interno, mentre la pesantissima inflazione successiva alla guerra ostacolava le importazioni e rendeva invece appetibili i film tedeschi sui mercati internazionali.

L'azione combinata di questi fattori conduce a uno sviluppo sempre maggiore del cinema di Weimar in generale e della UFA in particolare.


La campagna di legittimazione culturale avviata dalle produzioni cinematografiche tedesche alla fine degli 10 e che attraversò parte degli anni 20 del 900, inizialmente mirò ad ottenere l'avallo del mondo letterario (adattando opere di celebri scrittori come Gerard Hauptmann o Arthur Schnitzler), e in seguito si propose di porre la cultura artistica, architettonica e teatrale al servizio del nuovo medium.

Le affinità formali con questi mezzi espressivi riguardano in primo luogo la deformazione degli spazi, che viene realizzata attraverso I'utilizzo di scenografie dipinte, bidimensionali e dalla prospettiva volutamente distorta.

In tal senso, si potrebbe affermare che l'espressionismo tedesco sia il padre del contemporaneo cinema virtuale, in quanto entrambi ricercano la verità non nella rappresentazione precisa della realtà visibile, ma nelle sue infinite potenzialità immaginative. L'espressionismo, guardando al modello Méliès, diventa allora il regno dei trucchi, delle illusioni, delle allucinazioni e delle attrazioni.

Gli autori manipolano forme e colori per creare atmosfere stranianti e mondi che sembrano usciti da un sogno — o un incubo.

Questa stessa visione si manifesta oggi nel cinema virtuale, dove le tecnologie moderne permettono di creare universi totalmente nuovi e di giocare con la percezione della realtà.

Proprio come i pionieri di questa tendenza utilizzavano la teatralità e la stilizzazione per animare le loro tele, i creatori del cinema virtuale usano effetti speciali e mondi sintetici per trasportare gli spettatori in esperienze oltre l'ordinario.


Immaginario e stile si fondono, dando vita ad una forma espressiva di notevole intensità attraverso un'attenzione particolare alla messa in scena.

Questo tipo di cinema è caratterizzato da una ricerca intensa sulla composizione visiva e, di conseguenza, sull'uso dello spazio e della scenografie, elementi che le inquadrature mettono sapientemente in risalto.

Il visibile è scomposto attraverso un utilizzo assolutamente particolare dell'illuminotecnica, con luci fortemente contrastate e contrapposizioni di luci e ombre, con settori di luce ricavati all'interno di spazi bui in un sistematico gioco di illuminazioni e di oscurità : la visione del mondo si complica, passa attraverso il non-visibile rendendo incerto il visibile.



Tutti gli elementi della scena (profilmico) vengono artificiosamente rielaborati per amplificarne l'impatto e la potenza espressiva. La messa in scena integra e coordina ogni componente per creare una forma distintiva, caratterizzata da un'intensità vibrante e una particolare suggestione visiva e spirituale. I contorni delle scenografie risultano spesso alterati e irregolari, con deformazioni marcate e tendenzialmente irreali.

Si tratta di operazioni di intensa e deformante stilizzazione del visibile che non riflettono solo un gusto estetico, ma mirano a oggettivare una visione del mondo, un'emozione, e talvolta un'idea trasfigurandola visivamente.

I personaggi vivono stati di angoscia, di dolore, di tensione e di ossessione che vengono impressi direttamente sulla materia scenica, trasformandosi in rappresentazioni visibili e tangibili.


Nollendorfplatz, E.L.Kirchner 1912 Il gabinetto del Dr.Caligari, R.Wiene, 1920


Il cinema espressionista, inoltre, è popolato da automi, da cloni, da doppi dell'umano, da vampiri e da mutanti che si intrecciano con le figure del genere fantastico, trovando risonanza nel modo in cui il cinema virtuale esplora identità fratturate e mondi paralleli, guidati dall'intelligenza artificiale e dalla realtà aumentata.

Attraverso ambienti digitali costruiti meticolosamente, i cineasti moderni espandono i confini della narrazione, evocando la stessa meraviglia e disorientamento caratteristici dell'espressionismo.


Anche i costumi sono conformi agli spazi e ai personaggi. Sono operazioni di stilizzazione intensiva e deformante del visibile.


I volti, proprio come i corpi e gli spazi, subiscono lo stesso processo di intensificazione segnica.

Il trucco è pesantemente marcato, drammatico, con linee e ombre estremamente accentuate per evidenziare stati d'animo di tensione, angoscia e alienazione. In questo modo non solo supportava la narrazione, ma diventava un altro mezzo per distorcere la realtà.



UNA NUOVA CONCEZIONE DEL CINEMA : IMMAGINARIO E STILE


La produzione di film legati all'estetica espressionista contraddistingue un periodo molto breve di tempo (i primi anni 20), segnati peraltro da uno scarso successo commerciale.

La loro importanza, tuttavia, è stata innegabile, e riguarda in particolar modo una serie di innovazioni narrative e tecnico-stilistiche che verranno poi riprese in svariati contesti internazionali.

Per concludere il nostro breve percorso all'interno del cinema espressionista prendiamo brevemente in esame alcune delle opere più rappresentative di questa tendenza.


IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI (R.WIENE, 1920)


Il gabinetto del Dottor Caligari è considerato il capostipite del cinema espressionista, ed ha rappresentato una trasformazione radicale del concetto di cinema, offrendo una nuova sintesi tra immaginazione e stile della messa in scena.



Il film racconta le vicende di un sinistro ipnotizzatore che terrorizza un piccolo paesino tedesco facendo eseguire una serie di omicidi al proprio servo Cesare.

La cornice in cui si inserisce Caligari è tutto fuorché realistica, siamo piuttosto nel territorio dell'oscuro, del perturbante, dell'allucinazione.

Il film, con le sue famose scenografie irrealiste, deformate, fatte di case sghembe e distorte, di spazi irregolari, di oggetti amplificati e giochi allucinati di luci e ombre, altera significativamente la dimensione del reale per addentrarsi nel regno dell'enigma e del fantasma, trasformandola in un delirio visivo che è diretta proiezione dell'ossessiva e angosciata condizione mentale del protagonista.



NOSFERATU (F.W. MURNAU, 1922)


Spesso interpretato come uno dei capolavori assoluti dell'espressionismo, Nosferatu è la storia di Hutter, un giovane che lavora presso un’agenzia immobiliare in una cittadina tedesca che viene inviato al castello del misterioso Conte Orlok per concludere la vendita di una casa. Ma Orlok è in realtà Nosferatu, un vampiro.


Le procedure di messa in scena di Nosferatu, rispetto ad un film come il Dottor Caligari, sono differenti, così come differente è la rappresentazione intensiva del mondo del vampiro.

Infatti, in Nosferatu, la rielaborazione fantastica della realtà e la sua distorsione vengono ottenute in parte attraverso la selezione di spazi non ricostruiti in studio e in parte utilizzando scenografie tridimensionali.

Il castello del conte Orlok è una reggia dell'incubo fatta di architetture ogivali, di passaggi oscuri, di arredi inquietanti.

È uno spazio dove si nasconde il mistero e si realizzano riti demoniaci.



La nave invasa dal vampiro è una sorta di veliero fantasma in cui le vele e gli alberi sono lo scenario allucinato della presenza del male. La città quasi deserta, invasa dalla peste, è un ossario architettonico, un cimitero urbano di rara suggestione.

Sono spazi segnati dall'esistenza del male, che domina poi attraverso l'estensione minacciosa delle tenebre che invadono tutto l'orizzonte visivo.



Ma la presenza del male si manifesta in tutta la sua natura, appare con la iena notturna, le piante carnivore, come un tessuto nascosto che afferma la sua naturalità. E nel gioco simbolico che si stabilisce tra Hutter, la moglie Helen e il vampiro, Helen scopre di identificarsi progressivamente con il vampiro, è attratta da lui e finisce per sacrificarsi, cedendo a istanze, o desideri profondi.


L'ULTIMA RISATA (F.W. MURNAU, 1924)


L'ultima risata narra la complessa vicenda di un portiere d'albergo che viene degradato a guardiano dei gabinetti per sopraggiunti limiti di età e non sa come fare per conservare il rispetto degli abitanti dello stabile in cui vive e della figlia in procinto di sposarsi.



Il film costituisce il massimo approdo del ciclo Kammerspielfilm e mescola modelli diversi di messa in scena, integrando spazi ricostruiti con grande cura realistica, divisi tra la miseria standardizzata dei quartieri popolari e l'eleganza del grand hotel, con raffinate ricerche sull'immagine. Gli effetti luministici prodotti dalla grande porta a vetri si mescolano con le ossessioni allucinatorie nella sequenza dell'ebbrezza del protagonista, portiere d'albergo declassato a guardiano di latrine. La macchina de presa, gestita direttamente da Freund, è veramente scatenata e consente movimenti di macchina assolutamente innovativi, che culminano nella ripresa circolare a 360° del protagonista ubriaco.

Il film, infatti, viene narrato interamente senza l'ausilio di didascalie : ne interviene solo una, quando lo sceneggiatore sente il bisogno di distanziarsi ironicamente dal lieto fine imposto dalla produzione, nel quale il protagonista diviene miliardario grazie ad un'insperata eredità.

Ma per il resto del film è la macchina da presa in perenne movimento a far proseguire la narrazione con soli mezzi visivi, per esempio traiettorie simboliche (le riprese da dentro l'ascensore dell'albergo, che sottolineano con il loro movimento le alterne fortune del protagonista) o particolari virtuosismi (il suono di una tromba che viene seguito dal cortile di un caseggiato fino all'orecchio dell'ascoltatore alla finestra).




TARTUFO (1925, F.W. MURNAU)



Tratto dal testo "L'avaro di Moliere", Tartufo è la storia di un uomo ricco e vecchio che disereda il nipote dopo essere stato ingannato dalla sua avida governante, che spera di divenire la sua unica erede. Quando il giovane va a trovare suo nonno, grazie a un proiettore cinematografico mobile gli mostra la storia del “Tartufo” ispirato alla celebre commedia di Molière.


I temi di Tartufo sono l'ipocrisia, le fragilità e le debolezze umane.

Come si può già intuire dalla trama, il film di Murnau è costruito attraverso una chiave grottesca, e sfrutta pienamente l'espediente metanarrativo (il film nel film, la finzione).

In Tartufo l'arte si rivela come mezzo salvifico, capace di porsi come monito all'uomo e alla sua scelleratezza, rivelandone la cupidigia e la lussuria.


La scenografia si trasforma in un riflesso dell'azione, creando un effetto di "film nel film". Dominata da una grandiosa scala in stile tardo-barocco, funge da sfondo per le stanze dei personaggi, che animano un complesso gioco teatrale di movimenti. Questo ambiente trasforma il dramma teatrale in narrazione cinematografica. L'opera di Murnau è pervasa dalla tematica del doppio, che sfrutta l'interazione tra differenti piani e livelli narrativi per generare interferenze che amplificano il potenziale della trama, arricchendola di significati complessi e allusivi. Il riflesso diventa simbolo del nostro agire e della relazione tangibile tra noi e il mondo. Perdere questo riflesso equivale a smarrire significato e orientamento.




METROPOLIS (F. LANG, 1927)


Metropolis è ambientato in un prossimo futuro nel quale il figlio di un industriale scopre che nelle viscere dell'avveniristica città in cui vive lavorano operai trattati come schiavi e si unisce a loro.

Per dissuaderlo, il padre sostituisce la dolce Maria, guida spirituale degli operai, con un automa a essa identica, che incita gli operai a uno sciopero causando un'ecatombe.


Tutti gli elementi immaginari e stilistici di cui abbiamo parlato finora confluiscono poi in Metropolis, che è al tempo stesso una parabola fantascientifica e un romanzo di formazione, un film ideologico e un dramma sociale. Le straordinarie scenografie di Hunte e Kettelhutt, invenzione di un immaginario popolare impregnato dai miti della modernità, e il ricorso a scelte linguistiche e stilistiche molteplici fanno di Metropolis insieme un film monumentale e un'esperienza di ricerca sulle potenzialità espressive e spettacolari del cinema, punto di sintesi tra la dimensione mostrativa e quella narrativa, tra il cinema sperimentale dei fratelli Lumière e quello visionario e futurista dell'epoca moderna.


Nel film di Lang filmico e profilmico interagiscono continuamente, e lo spazio viene strutturato secondo linee e forme rigorose e riconoscibili.


L'elaborazione dello spazio è legata direttamente al bisogno di generare idee e di renderle visibili: si tratta di un approccio eidetico che mira a rafforzare la capacità dell'immagine di incarnare idee.

Questa visione del cinema cerca di realizzare un'esperienza intellettuale attraverso un sistema compositivo che integra pensiero e immagine, concependo il cinema come essenza, dove immagine, forma e idea si fondono in un'unità coerente.


Elementi dell'espressionismo vengono accostati a motivi simbolisti e scenografie art decò, creando un insieme estremamente suggestivo.

Le vedute della città sono poi elaborate in modo estremamente complesso e sofisticato : l'operatore di macchina, Holger Schüfftan, organizza un complicato sistema di trucchi (denominato appunto effetto Schüfftan) combinando delle scenografie costruite a grandezza naturale a scenografie in scala dei modellini attraverso un gioco di specchi e impressionando tutti insieme, su piani diversi, i vari elementi, in modo da farvi muovere anche delle figure umane e dare l'idea che il film abbia scenografie gigantesche pur trattandosi in gran parte di trucchi ottici.


L'effetto Schüfftan è uno degli elementi che favorirà la fortuna del film, poi diventato un punto fisso della cultura pop.

Si pensi alla figura dell'automa, che ha ispirato il robot C-3PO di Guerre Stellari o le scenografie urbane riprese da alcuni videoclip dei Queen (come quello di Radio Gaga).



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